COS’HANNO IN COMUNE UN PROFETA DIGITALE E UN CYBORG?
David Shing e Neil Harbisson: uno è un profeta dei tempi moderni, l’altro un artista. Ho avuto occasione di incontrarli entrambi ‘a porte chiuse’ e vi assicuro che hanno più cose in comune di quanto sembri
Lo scorso novembre a Roma ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con David Shing, digital prophet di AOL, comunemente noto come Shingy, indiscusso maestro del personal branding, amante dei riflettori, uno che sul palco parla ‘a manetta’ e che ama vestire i panni della rockstar dedicando del tempo anche alla musica suonando in una band. Uno che ti ubriaca, nel senso buono del termine, con affascinanti discorsi che hanno nella tecnologia (di cui lui ci capisce parecchio, eccome!) il filo conduttore.
Un paio di giorni fa, a Milano, ho speso del tempo in compagnia del cyborg Neil Harbisson, uno ‘scricciolo’ d’uomo che ha impiantato nel cervello un chip cui è collegata un’antenna che, dice lui, “non è un werable device tecnologico ma un mio nuovo organo sensoriale” (grazie all’antenna e al chip, Neil riesce a tramutare i colori in frequenze sonore permettendogli così di riconoscere i colori che altrimenti non ‘percepirebbe’ a causa di una malattia). Neil è un artista, nell’animo, e come tale vive in un mondo tutto suo fatto di percezioni sensoriali estese; è timido, non certo una ‘mitraglietta’ nel parlare, capisce di tecnologia quel tanto che basta per applicarla alle sue idee, tanto rivoluzionarie nell’attuazione quanto semplici nella mission: estendere le capacità sensoriali di una specie (che sia umana o animale, non fa distinzione).
Due personaggi così distanti e diversi che però hanno in comune molto più di quanto si possa pensare ad una prima superficiale conoscenza. Entrambi mettono ‘l’uomo’ al centro (per Neil più che uomo si parla di specie) e la sua esperienza vissuta e ‘sentita’ in qualsiasi contesto, sia che faccia un acquisto su un portale eCommerce sia che guardi un quadro di Picasso attraverso ‘nuovi’ sensi.
Shingy spinge sul concetto di WeGeneration da qualche anno, invitando le persone con cui interagisce in giro per il mondo a riflettere sul ‘potere del consumatore’, non più disposto a subire inerme bombardamenti pubblicitari e divenire oggetto di bisogni indotti dalle grandi organizzazioni: “oggi bisogna ‘conoscere’ le persone per poterle ‘incontrare’ (ancor più nel mondo digitale che in quello fisico). La WeGeneration vuole attenzione, desidera condividere la propria esperienza, aspira a vivere un’emozione unica”, diceva lo scorso novembre in occasione del nostro incontro romano.
Neil vede nel rapporto human-machine una nuova grande opportunità evolutiva per la specie umana (ma non solo), “per trovare nuove forme creative grazie a capacità sensoriali estese, abilitate certamente dalla tecnologia ma inefficaci senza la collaborazione del nostro cervello”, mi ha candidamente spiegato qualche giorno fa a Milano. “Le tecnologie ci mettono a disposizione gli strumenti per ‘aggiungere’ dei sensi alle nostre comuni capacità umane (per esempio per abilitare la vista a infrarossi) ma ciò che ci permette davvero di vivere nuove esperienze è la capacità del cervello di adattarsi e di sfruttare queste tecnologie”.
Anche Neil insiste sul concetto di esperienza ed emozione: “la realtà virtuale o aumentata di per sé bastano a far vivere una nuova esperienza all’uomo; io guardo a qualcosa di più profondo, ad un nuovo modo di vivere l’esperienza reale (di realtà reale, dice usando volutamente il gioco di parole) e per questo la tecnologia, da sola, non basta”.
Certo Neil spinge il confine dell’evoluzione tecnologica un po’ più in là rispetto a Shingy, prospettandomi un futuro, non troppo lontano, in cui “l’uomo riprogetterà sé stesso per garantire la propria sopravvivenza”.
“Finora ci siamo concentrati su come salvaguardare il pianeta per poter ‘salvare’ la specie — spiega Neil — ma tra poco saremo in grado di cambiare prospettiva adeguando il nostro corpo (per mezzo delle nuove tecnologie) a vivere a temperature più basse o più alte (senza dover quindi utilizzare sistemi di riscaldamento o condizionamento), a vedere correttamente anche al buio, a ‘sentire’ in anticipo le calamità naturali…”.
Certo l’analisi un po’ inquieta ma forse è dovuto semplicemente al fatto che non siamo ancora mentalmente pronti a questo cambiamento. “Del resto — mi fa notare il cyborg artista — quarant’anni fa anche i transgender non erano eticamente e socialmente accettati. Io sono un trans-specie, serve tempo perché questo venga riconosciuto”.
A conclusione del nostro incontro, proprio sui temi della diversità Neil si lascia andare ad una considerazione che ho davvero molto apprezzato: “non è la tecnologia impiantata nel mio cervello a rappresentare il ‘problema’ ma la ‘paura del diverso’ insita nell’essere umano; grazie alla possibilità di trasformare in vibrazioni sonore i colori (che io non sono in grado di vedere) ho imparato che al mondo non esistono uomini bianchi o neri, siamo tutti delle differenti varietà di arancio”.